La Repubblica ha pubblicato una lettera molto intelligente e pacata di Rita Levi Montalcini, in risposta alle esternazioni molto stupide di Francesco Storace. La senatrice, nonchè premio Nobel nel 1986, fa bene a ricordare che molte delle cose che oggi si vedono odorano (per non dire puzzano) di regime totalitario. Purtroppo, nel caso di Storace credo che questo non faccia altro che riempirlo di orgoglio, piuttosto che coprirlo di vergogna (come invece dovrebbe).
Penso che Storace debba rinascere otto volte prima di riuscire a concepire qualcosa che abbia un'utilità per la società civile. Figuriamoci per vincere un Nobel. Ed allora faccia almeno un regalo utile: stia zitto.
Wednesday, October 10, 2007
Friday, October 05, 2007
Quando i magistrati vanno in TV
Da un po' di tempo si respira un'aria diversa in questo magnifico paese che è l'Italia. È un'aria strana, difficile da decifrare. Non si tratta, come cantava battiato, di aria di rivoluzione, o per lo meno non ancora. Per ora sembra diffondersi l'odore acre e ottundente della censura, della repressione. Certo, si censura come si conviene in una democrazia, o meglio, come in un sistema travestito da democrazia.
Mastella si lamenta si lamenta di Anno Zero, dice con aria risentita e minacciosa che porterà in Parlamento la sfiducia al CdA della RAI. Lo stesso Mastella che decide quando trasferire i magistrati scomodi. Lo stesso che brucia risorse pubbliche per fini meramente personali.
Mastella si lamenta perchè un magistrato ha fatto l'affronto di andare in TV. Forse quello era l'unico modo che quel magistrato aveva per salvarsi la vita. E chiaramente questo indispettisce tutti coloro che invece avevano a cuore una sua uscita di scena.
Mi viene il vomito quando apprendo come venivano gestite le inchieste in Basilicata. Mi fa schifo capire come attraverso quali artifici gli indagati riuscivano a controllare le mosse degli accusatori. Mi fa inorridire l'intreccio di interessi fra i rappresentanti della politica, quelli della giustizia e la criminalità organizzata.
Mastella ha stile nel fare i suoi avvertimenti durante la conferenza stampa. Santoro è scomodo, è di parte, si dice. Ma di quale parte? La parte da cui sta Santoro, secondo me, purtroppo oggi non esiste più. Vorrei che qualcuno mi dicesse se una vaga traccia dei valori della sinistra, quella vera, ancora permane nell'Unione. A me sembra che in Italia ormai esista una destra ed un centro: questi sono i veri due poli. Altro che centro-sinistra.
Quindi sono d'accordo: Anno Zero è di parte. Fortunatamente ci sono ancora delle isole in cui è possibile riconoscerli quei valori di giustizia, anche sociale, di libertà e dovere d'informazione. Di quest'ultima, dicono, viene fatto un uso strumentale. Ora, non credo sia possibile mai, in nessun caso, comunicare qualsivoglia pezzo d'informazione in modo neutro.
Ogni attore del mondo dell'informazione agisce sulla notizia, lasciandoci una traccia. Basti vedere Fede al TG4 per capire di cosa sto parlando: è il caso più eclatante. Ma non si tratta solo del modo in cui le notizie vengono date, sia nella mimica che nella gestualità, o nel modo di articolare una frase (p.es. una frase al passivo ha un effetto diverso da una frase con il verbo attivo). A monte di tutto, la prima traccia viene lasciata sulla selezione della notizia da dare, e di quella da escludere.
Sono arrivato a sentire tre TG al giorno, e la somma di tutti non riesce a darmi un'informazione completa. Perchè in tutte queste settimane ho sentito una sola volta parlare di cosa prevede il protocollo sul welfare? Perchè nessun TG ha dato voce al caso De Magistris?
Allora, ancora una volta, benvenga qualcuno che è dalla parte delle informzioni che hanno un elevato valore civile. Perchè non è possibile che tutta la televisione, anche quella di Stato, dei cittadini, debba appiattirsi ed appiattire le menti. I cosiddetti "reality" hanno la presunzione di far passare per vera una finzione, spostando continuamente i confini di ciò che si considera il dominio delle proprie possibilità. Poco importa se poi è effettivamente così. E poi basta con il mercimonio di sentimenti ed emozioni in programmi costruiti che propinano storie inverosimili.
In mezzo a tutto questo letame, ci si lamenta se qualcuno usa la TV in modo strumentale; perchè, letteralmente, la utilizza come strumento per informare il cittadino. Oggi i programmi che "fanno pensare", che stimolano, si contano sulle dita di una mano. I politici infastiditi farebbero bene a provare un po' di vergogna e tacere.
Ma l'arroganza è tipica in chi sa di agire in modo sospettabile, ma mostra i muscoli per ostentare il potere. Ed allora è meglio che i giornalisti si dedichino a notizie più amene. Trasforliamo i telegiornali in tante varanti di Verissimo o l'Italia in Diretta. Così da formare le nuove generazioni con lo spirito critico di una bottiglia di plastica. Chiaro, tout se tient, dall'abolizione degli esami di riparazione al 3 + 2: si prometteva di raggiungere l'eccellenza ed invece si riesce a spostare il baratro sempre più in basso.
Complimenti.
Mastella si lamenta si lamenta di Anno Zero, dice con aria risentita e minacciosa che porterà in Parlamento la sfiducia al CdA della RAI. Lo stesso Mastella che decide quando trasferire i magistrati scomodi. Lo stesso che brucia risorse pubbliche per fini meramente personali.
Mastella si lamenta perchè un magistrato ha fatto l'affronto di andare in TV. Forse quello era l'unico modo che quel magistrato aveva per salvarsi la vita. E chiaramente questo indispettisce tutti coloro che invece avevano a cuore una sua uscita di scena.
Mi viene il vomito quando apprendo come venivano gestite le inchieste in Basilicata. Mi fa schifo capire come attraverso quali artifici gli indagati riuscivano a controllare le mosse degli accusatori. Mi fa inorridire l'intreccio di interessi fra i rappresentanti della politica, quelli della giustizia e la criminalità organizzata.
Mastella ha stile nel fare i suoi avvertimenti durante la conferenza stampa. Santoro è scomodo, è di parte, si dice. Ma di quale parte? La parte da cui sta Santoro, secondo me, purtroppo oggi non esiste più. Vorrei che qualcuno mi dicesse se una vaga traccia dei valori della sinistra, quella vera, ancora permane nell'Unione. A me sembra che in Italia ormai esista una destra ed un centro: questi sono i veri due poli. Altro che centro-sinistra.
Quindi sono d'accordo: Anno Zero è di parte. Fortunatamente ci sono ancora delle isole in cui è possibile riconoscerli quei valori di giustizia, anche sociale, di libertà e dovere d'informazione. Di quest'ultima, dicono, viene fatto un uso strumentale. Ora, non credo sia possibile mai, in nessun caso, comunicare qualsivoglia pezzo d'informazione in modo neutro.
Ogni attore del mondo dell'informazione agisce sulla notizia, lasciandoci una traccia. Basti vedere Fede al TG4 per capire di cosa sto parlando: è il caso più eclatante. Ma non si tratta solo del modo in cui le notizie vengono date, sia nella mimica che nella gestualità, o nel modo di articolare una frase (p.es. una frase al passivo ha un effetto diverso da una frase con il verbo attivo). A monte di tutto, la prima traccia viene lasciata sulla selezione della notizia da dare, e di quella da escludere.
Sono arrivato a sentire tre TG al giorno, e la somma di tutti non riesce a darmi un'informazione completa. Perchè in tutte queste settimane ho sentito una sola volta parlare di cosa prevede il protocollo sul welfare? Perchè nessun TG ha dato voce al caso De Magistris?
Allora, ancora una volta, benvenga qualcuno che è dalla parte delle informzioni che hanno un elevato valore civile. Perchè non è possibile che tutta la televisione, anche quella di Stato, dei cittadini, debba appiattirsi ed appiattire le menti. I cosiddetti "reality" hanno la presunzione di far passare per vera una finzione, spostando continuamente i confini di ciò che si considera il dominio delle proprie possibilità. Poco importa se poi è effettivamente così. E poi basta con il mercimonio di sentimenti ed emozioni in programmi costruiti che propinano storie inverosimili.
In mezzo a tutto questo letame, ci si lamenta se qualcuno usa la TV in modo strumentale; perchè, letteralmente, la utilizza come strumento per informare il cittadino. Oggi i programmi che "fanno pensare", che stimolano, si contano sulle dita di una mano. I politici infastiditi farebbero bene a provare un po' di vergogna e tacere.
Ma l'arroganza è tipica in chi sa di agire in modo sospettabile, ma mostra i muscoli per ostentare il potere. Ed allora è meglio che i giornalisti si dedichino a notizie più amene. Trasforliamo i telegiornali in tante varanti di Verissimo o l'Italia in Diretta. Così da formare le nuove generazioni con lo spirito critico di una bottiglia di plastica. Chiaro, tout se tient, dall'abolizione degli esami di riparazione al 3 + 2: si prometteva di raggiungere l'eccellenza ed invece si riesce a spostare il baratro sempre più in basso.
Complimenti.
Sunday, December 03, 2006
Chi ha paura della diversita'?
Osservavo questa foto, e c'è qualcosa nella posa che davver mi inquieta... Ormai si manifesta intolleranza, razzismo ed ogni altra bassa forma di ignoranza tranquillamente nelle piazze... Hanno paura di tutto ciò che è diverso, ed in quanto tale possibile fonte di crescita, creatività, progresso. E' ansia di imporre il proprio pensiero distruggendo quello degli altri. E' pretendere di avere un pensiero, senza sapere neanche cosa significhi pensare.
"Ahi serva Italia, di dolore ostello.."
Thursday, July 20, 2006
Tregue e Missioni
Leggo sulla Stampa che gli Stati Uniti hanno deciso di concedere ad Israele ancora una settimana per completare l'offensiva contro il Libano. Il furbo Bush vuole fare in modo che Israele tolga un po' di castagne dal fuoco. Fa un certo effetto notare come in questo caso il difensore della democrazia non abbia sentito il dovere di intervenire direttamente nel conflitto. Onestamente me ne rallegro. Ma fa ancora più effetto confrontare le zone in cui gli USA hanno deciso di intervenire, con quelle in cui non l'hanno fatto. La sensazione che la politica militare degli Stati Uniti sia "oil-driven" diventa più di una semplice suggetione. Ed il resto dell'Occidente fino ad ora cos'ha fatto? Si è per lo più adattato, per non scendere dal carrozzone. Che amarezza...
Friday, June 23, 2006
Costituzione referendum e revisione
di Francesco Paolo Casavola
I dibattiti sul referendum sembrano nascondere, o almeno non illuminare abbastanza, due dati di fatto, che di revisione della Costituzione si discute da oltre un quarto di secolo, e che malgrado i limiti stretti del procedimento di revisione stabilito dall’articolo 138, utile per modifiche puntuali e circoscritte, la tendenza era ed è stata di cambiare forma di Stato e di governo. Senza che nessuno si accorga che così si va contro il divieto dell’articolo 139: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». La lettura diffusa di questo testo, nel senso ch’esso vieta la restaurazione della monarchia, è banale e riduttiva. La forma repubblicana salvaguardata è quella scelta dall’Assemblea costituente, vale a dire la forma di Stato unitario, la Repubblica «una e indivisibile» dell’articolo 5, e la forma di democrazia parlamentare, come forma di governo. Passare dallo Stato unitario allo Stato federale, dal governo parlamentare al premierato che non ha contrappesi né nel presidente della Repubblica né nel Parlamento, non si può con revisione della Costituzione, perché la Costituzione lo vieta. Solo dopo essersi chiarita questa idea, si può passare a contrastarsi sui dettagli. Non senza peraltro sbarazzarsi di due pregiudizi, che chi vuole la revisione e raccomanda di votare «sì» è progressista e moderno, chi non la vuole e raccomanda «no» è conservatore e vecchio (anche di età, come taluno ha insinuato).
In verità la Costituzione è accusata dai modernizzatori per essere nata quando gli italiani erano per due terzi contadini o abitanti in paesi rurali e per un terzo cittadini e ceto medio, mentre oggi la proporzione è rovesciata, che nel frattempo la società, la cultura, la scienza, le tecnologie, gli stili di vita si sono evoluti, quasi che le costituzioni debbono avere le vite brevi delle generazioni e non invece stabilire l’identità storica di un popolo nel patrimonio dei suoi valori e principi fondamentali e delle regole dei suoi ordinamenti. Se i modernizzatori nostrani fossero nati sull’altra riva dell’Atlantico, quanto avrebbero sofferto con una Costituzione, quale la nord-americana, viva e vegeta dalla fine del XVIII secolo? Costoro scambiano per Costituzione un’autorizzazione a governare per interessi congiunturali o particolari. Ma oltre che di vetustà la Costituzione è imputata di sovietismo, perché negli anni della Costituente la cultura politica egemone sarebbe stata quella comunista. Quanto la civiltà liberale e il cattolicesimo democratico abbiano contribuito alla formazione della Carta è del tutto dimenticato dai critici di oggi. Ma veniamo ai pretesi miglioramenti della riforma. Si supera il bicameralismo perfetto, e si riduce il numero dei parlamentari, guasti che davvero invocano rimedio, ma come? Lasciando accanto alla Camera dei deputati un Senato, chiamato federale solo perché sotto questo nome fittizio si contrabbanda il mutamento vietato dalla Costituzione della forma unitaria dello Stato, e composto da senatori eletti su base regionale, esattamente come si eleggono oggi, con in più la contestualità con le elezioni dei consigli regionali. Quanto al potere legislativo della Camera nazionale e di quella sedicente federale, esso dà luogo a due processi di legiferazione monocamerali, a seconda delle materie, un processo di legiferazione bicamerale, più altre forme miste eventuali, quando l’una Camera richieda di correggere e di decidere in via definitiva sul provvedimento dell’altra, previa intermediazione dei presidenti dei due rami del Parlamento o di un comitato paritetico di senatori e deputati da loro nominati, o richiesta del primo ministro autorizzato dal presidente della Repubblica. Su materie ripartite tra Stato e Regioni, con la improvvida fretta della revisione del titolo V della Costituzione, varata dal centrosinistra della XIII legislatura, e che ha già prodotto un mostruoso contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale, non gioverà l’introduzione dell’interesse nazionale, che anzi moltiplicherà i contrasti tra le due Camere e agevolerà ritardi e paralisi del processo legislativo e la conflittualità politica nell’intero Paese. Quanto alla forma di governo, il premier sostanzialmente eletto dal popolo, che se sfiduciato scioglie la Camera, e se sfiduciato solo all’interno della sua maggioranza, ipotesi già di per sé di terzo grado, si dimette per essere sostituito da un suo sodale, che può porre questioni di fiducia a una Camera subalterna al suo potere di iniziativa di scioglimento, che cosa significa se non l’uscita dal principio delle democrazie costituzionali che ogni potere è bilanciato da un altro potere? La Corte costituzionale avrà sette membri, eletti tre dalla Camera e quattro dal Senato federale, contro otto, di nomina presidenziale per una metà e di elezione dalle supreme magistrature per l’altra metà. Diverrà un’altra Camera politica, altro che organo di garanzia! E la devolution, cioè competenza esclusiva delle Regioni a legiferare su organizzazione sanitaria, istruzione e polizia amministrativa, priverà il cittadino del principio di uguaglianza dinanzi a beni essenziali, disponibili solo da quell’unico sovrano che è la Nazione. Dire «no» può rimettere in moto un processo di revisione coerente con i valori irrinunciabili di uno Stato costituzionale, che non ha una Costituzione di destra o di sinistra, ma di tutti e per tutti.
Editoriale pubblicato su Il Mattino di Napoli il 20/06/2006
I dibattiti sul referendum sembrano nascondere, o almeno non illuminare abbastanza, due dati di fatto, che di revisione della Costituzione si discute da oltre un quarto di secolo, e che malgrado i limiti stretti del procedimento di revisione stabilito dall’articolo 138, utile per modifiche puntuali e circoscritte, la tendenza era ed è stata di cambiare forma di Stato e di governo. Senza che nessuno si accorga che così si va contro il divieto dell’articolo 139: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». La lettura diffusa di questo testo, nel senso ch’esso vieta la restaurazione della monarchia, è banale e riduttiva. La forma repubblicana salvaguardata è quella scelta dall’Assemblea costituente, vale a dire la forma di Stato unitario, la Repubblica «una e indivisibile» dell’articolo 5, e la forma di democrazia parlamentare, come forma di governo. Passare dallo Stato unitario allo Stato federale, dal governo parlamentare al premierato che non ha contrappesi né nel presidente della Repubblica né nel Parlamento, non si può con revisione della Costituzione, perché la Costituzione lo vieta. Solo dopo essersi chiarita questa idea, si può passare a contrastarsi sui dettagli. Non senza peraltro sbarazzarsi di due pregiudizi, che chi vuole la revisione e raccomanda di votare «sì» è progressista e moderno, chi non la vuole e raccomanda «no» è conservatore e vecchio (anche di età, come taluno ha insinuato).
In verità la Costituzione è accusata dai modernizzatori per essere nata quando gli italiani erano per due terzi contadini o abitanti in paesi rurali e per un terzo cittadini e ceto medio, mentre oggi la proporzione è rovesciata, che nel frattempo la società, la cultura, la scienza, le tecnologie, gli stili di vita si sono evoluti, quasi che le costituzioni debbono avere le vite brevi delle generazioni e non invece stabilire l’identità storica di un popolo nel patrimonio dei suoi valori e principi fondamentali e delle regole dei suoi ordinamenti. Se i modernizzatori nostrani fossero nati sull’altra riva dell’Atlantico, quanto avrebbero sofferto con una Costituzione, quale la nord-americana, viva e vegeta dalla fine del XVIII secolo? Costoro scambiano per Costituzione un’autorizzazione a governare per interessi congiunturali o particolari. Ma oltre che di vetustà la Costituzione è imputata di sovietismo, perché negli anni della Costituente la cultura politica egemone sarebbe stata quella comunista. Quanto la civiltà liberale e il cattolicesimo democratico abbiano contribuito alla formazione della Carta è del tutto dimenticato dai critici di oggi. Ma veniamo ai pretesi miglioramenti della riforma. Si supera il bicameralismo perfetto, e si riduce il numero dei parlamentari, guasti che davvero invocano rimedio, ma come? Lasciando accanto alla Camera dei deputati un Senato, chiamato federale solo perché sotto questo nome fittizio si contrabbanda il mutamento vietato dalla Costituzione della forma unitaria dello Stato, e composto da senatori eletti su base regionale, esattamente come si eleggono oggi, con in più la contestualità con le elezioni dei consigli regionali. Quanto al potere legislativo della Camera nazionale e di quella sedicente federale, esso dà luogo a due processi di legiferazione monocamerali, a seconda delle materie, un processo di legiferazione bicamerale, più altre forme miste eventuali, quando l’una Camera richieda di correggere e di decidere in via definitiva sul provvedimento dell’altra, previa intermediazione dei presidenti dei due rami del Parlamento o di un comitato paritetico di senatori e deputati da loro nominati, o richiesta del primo ministro autorizzato dal presidente della Repubblica. Su materie ripartite tra Stato e Regioni, con la improvvida fretta della revisione del titolo V della Costituzione, varata dal centrosinistra della XIII legislatura, e che ha già prodotto un mostruoso contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale, non gioverà l’introduzione dell’interesse nazionale, che anzi moltiplicherà i contrasti tra le due Camere e agevolerà ritardi e paralisi del processo legislativo e la conflittualità politica nell’intero Paese. Quanto alla forma di governo, il premier sostanzialmente eletto dal popolo, che se sfiduciato scioglie la Camera, e se sfiduciato solo all’interno della sua maggioranza, ipotesi già di per sé di terzo grado, si dimette per essere sostituito da un suo sodale, che può porre questioni di fiducia a una Camera subalterna al suo potere di iniziativa di scioglimento, che cosa significa se non l’uscita dal principio delle democrazie costituzionali che ogni potere è bilanciato da un altro potere? La Corte costituzionale avrà sette membri, eletti tre dalla Camera e quattro dal Senato federale, contro otto, di nomina presidenziale per una metà e di elezione dalle supreme magistrature per l’altra metà. Diverrà un’altra Camera politica, altro che organo di garanzia! E la devolution, cioè competenza esclusiva delle Regioni a legiferare su organizzazione sanitaria, istruzione e polizia amministrativa, priverà il cittadino del principio di uguaglianza dinanzi a beni essenziali, disponibili solo da quell’unico sovrano che è la Nazione. Dire «no» può rimettere in moto un processo di revisione coerente con i valori irrinunciabili di uno Stato costituzionale, che non ha una Costituzione di destra o di sinistra, ma di tutti e per tutti.
Editoriale pubblicato su Il Mattino di Napoli il 20/06/2006
Monday, June 19, 2006
Pisa
16/6/2006 - S Ranieri
Quante cose insieme è Pisa. E' ricordi. E' amici. E' piccole delusioni. E' la meraviglia dei palazzi sull'Arno vanificata dalla completa assenza di civiltà. Passa tutto troppo in fretta in questi fine settimana sempre troppo corti. Si cerca di fuggire dai ritmi della vita quotidiana, e ci si trova travolti da quelli della breve vacanza, anora più incalzanti.
Sono stati davvero dei bei giorni...
Non esiste un momento del giorno
In cui posso allontanarti da me:
Il mondo appare diverso
quando non mi sei vicina.
Non c'è bella melodia
In cui non appaia tu,
Né desidero ascoltarla
Se mi manchi tu.
E' che sei diventata
una parte della mia Anima,
ed ora nulla mi soddisfa
se non ci sei anche tu.
Più in là delle tue labbra,
oltre il sole e le stelle,
con te nella distanza,
amata mia io resterò.
(César Portillo de La Luz)
Tuesday, May 02, 2006
Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, e l'anno
Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, e l'anno,
e la stagione, e 'l tempo, e l'ora, e 'l punto,
e 'l bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto
da' duo begli occhi, che legato m'hanno;
e benedetto il primo dolce affanno ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
e l'arco, e le saette ond'i' fui punto,
e le piaghe che 'n fin al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch'io
chiamando il nome de mia donna ho sparte,
e i sospiri, e le lagrime, e 'l desio;
e benedette sian tutte le carte
ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio,
ch'è sol di lei, sì ch'altra non v'ha parte.
(F. Petrarca)
e la stagione, e 'l tempo, e l'ora, e 'l punto,
e 'l bel paese, e 'l loco ov'io fui giunto
da' duo begli occhi, che legato m'hanno;
e benedetto il primo dolce affanno ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
e l'arco, e le saette ond'i' fui punto,
e le piaghe che 'n fin al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch'io
chiamando il nome de mia donna ho sparte,
e i sospiri, e le lagrime, e 'l desio;
e benedette sian tutte le carte
ov'io fama l'acquisto, e 'l pensier mio,
ch'è sol di lei, sì ch'altra non v'ha parte.
(F. Petrarca)
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